Il personaggio: Marco Gerolamo Vida
La fama di Marco Antonio Vida, che mutò poi il nome in Marco Gerolamo, è anche più vasta di quella del Platina, non tanto per l'originalità delle opere quanto per la squisitezza dello stile.
Era di famiglia nobile, cremonese fino dal secolo XIII: poiché alcuni fra gli ascendenti avevano raggiunto la dignità di Console del Comune di Cremona, i Vida erano considerati patrizi. La madre di Gerolamo, Leona, era della nobilissima famiglia degli Oscasali.
Non è dato conoscere l'anno di nascita, probabilmente intorno al 1480, né il luogo, anche se la tradizione vuole abbia visto la luce nella villa rurale della famiglia a San Bassano, luogo a cui egli rimase sempre molto legato.
Passò l'infanzia a Cremona, dove fece i primi studi, continuandoli poi a Padova, forse a Bologna e poi lungamente a Mantova, dove perdurava la stimolante influenza di Vittorino, tanto che, sul suo esempio e cercando di imitarne il metodo, a corte e nelle scuole si leggeva e si commentava Virgilio: e Virgilio fu sempre il modello del Vida. Probabilmente già a Mantova abbozzò le prime sue operette, felici prove del suo ingegno: De Bombyce, dedicato a Isabella d'Este, poemetto sui bachi da seta, che alcuni chiamano bigati, e a Cremona cavalieri si chiamano, annota il Campi; Scacchia, sul giuoco degli scacchi; alcune egloghe di gusto virgiliano, le Bucolica.
Tornato a Cremona, fu consacrato sacerdote; e rifinì queste sue prime opere nella sua villetta di San Bassano, o in qualcuna delle parrocchie assegnategli dal vescovo Ascanio Sforza, Ticengo, Monticelli Piacentino, Solarolo Monasterolo, Paderno Ponchielli.
In versi scrisse anche De arte poetica (citata come autorevole dal Panni), Carmina diversi generis e molti Hymni: sono 36, e potremmo definirli Inni Sacri; ma il suo capolavoro è Christiados libri sex, la Cristiade, poema in sei canti sulla vita di Cristo, a comporre il quale fu incoraggiato da Leone X. L'opera si può ascrivere a quella letteratura epica religiosa che fiorì nella varietà della produzione poetica in latino fra il Quattro e il Cinquecento; e non è indegna di confronto con il celebre De Partu Virginis del Sannazzaro.
È stato bensì rimproverato al Vida l'eccessivo uso di immagini mitologiche e di locuzioni proprie della letteratura pagana e il suo fanatismo per Virgilio; ma da ogni accusa di paganesimo che la sua dottrina gli possa attirare lo riscattano e l'incensurabilità del carattere e il gusto del tempo, che insieme con il culto di Roma ne faceva rivivere il linguaggio e le immagini, ma con fine puramente ornamentale.
Da Clemente VII il dotto e già famoso sacerdote fu ordinato vescovo d'Alba; non cessò per questo di interessarsi delle cose di Cremona, che per le vicende storiche di quei decenni non si trovava davvero in condizioni molto felici: anzi a Cremona tornò a risiedere periodicamente, forse a causa delle agitazioni e delle congiure che rendevano poco sicura la sua dimora in Piemonte.
Apprezzava con animo di mecenate le arti che in Cremona avevano nel suo secolo notevoli cultori: patrocinò la ricostruzione della piccola chiesa di Santa Margherita, su disegno di Giulio Campi e volle che dallo stesso essa fosse nell'interno interamente decorata con affreschi e statue. La grande scritta del fronte e la lapide sul fianco destro della chiesa (verso Via dei Rustici) ricordano come essa sia stata voluta nel 1547 dal Vida già da molti anni Vescovo d'Alba "Ne qua i patriae splendori i pro fortunis i deesset", per non venir meno, con essa, allo splendore della patria di contro alle avversità: in altre parole, per contribuire con questa opera al decoro della propria città, quasi in risarcimento delle sventure che la colpivano. Il che è molto bello.
Suo, come si è già accennato, è l'inno "Beate pauperum pater" dedicato a Sant'Omobono.
Morì nel 1566.
Ultimo aggiornamento:
05/12/2018